L’art. 22, comma 1, del d.lgs. n. 151/2015 modifica completamente l’apparato sanzionatorio previsto dall’art. 3, comma 3, del d.l. n. 12/2002, convertito dalla legge n. 73/2002, più volte modificato (da ultimo con il d.l. n. 145/2013, convertito dalla legge n. 9/2014), relativo alla maxisanzione contro il lavoro sommerso.
Il Ministero del Lavoro, con Lettera circolare n. 16494 del 7 ottobre 2015 e con la Circolare n. 26 del 12 ottobre 2015, ha chiarito che il nuovo quadro sanzionatorio in materia trova applicazione esclusivamente nei confronti degli illeciti commessi successivamente all’entrata in vigore del decreto delegato, quindi dal 24 settembre 2015, per effetto dell’art. 1 della legge n. 689/1981.
Ne deriva, conseguentemente, che per le condotte iniziate e cessate prima del 24 settembre si applica l’apparato sanzionatorio previgente, compresa la fattispecie attenuata della maxisanzione cd. “affievolita”, non potendo tali illeciti essere oggetto della procedura di diffida introdotta dal D.Lgs. n. 151/2015, con riferimento ai contenuti sostanziali della stessa e, in particolare, al mantenimento in servizio per almeno tre mesi dei lavoratori irregolari successivamente alla regolarizzazione.
Il Ministero precisa anche che alle condotte illecite iniziate prima del 24 settembre ma proseguite successivamente, in considerazione della natura permanente dell’illecito che, quindi, si consuma nel momento stesso in cui cessa la condotta antidoverosa, si applicherà quanto stabilito dall’art. 22 del D.Lgs. n. 151/2015 per l’intero periodo della violazione oggetto di accertamento, compresa la nuova procedura di diffida.
Il legislatore punisce l’impiego di lavoratori subordinati senza comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con esclusione del datore di lavoro domestico.
Il d.lgs. n. 151/2015, dunque, non innova il quadro regolatorio relativo al precetto e quindi al divieto, rispetto al testo previgente, né con riferimento all’oggetto (il lavoro “in nero” dei soli lavoratori subordinati), né in merito al campo di applicazione (resta escluso il lavoro domestico).
Ipotesi base
La sanzione amministrativa pecuniaria viene, invece, completamente rimodulata in chiave progressiva proporzionale, sulla base di fasce o soglie di gravità, abbandonando il modello della maggiorazione giornaliera aggiuntiva rispetto alla sanzione base, in ragione del numero delle giornate di lavoro irregolare effettuate da ciascun lavoratore.
L’impianto sanzionatorio novellato in vigore dal 24 settembre 2015 per la cosiddetta “maxisanzione” contro il lavoro sommerso si struttura nelle seguenti tre soglie di gravità, in ordine crescente:
– da euro 1.500 a euro 9.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di lavoro effettivo,
– da euro 3.000 a euro 18.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni di lavoro effettivo;
– da euro 6.000 a euro 36.000 per ciascun lavoratore irregolare per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di lavoro effettivo.
La norma non contiene più una disciplina sanzionatoria specifica riguardo all’importo delle sanzioni civili previdenziali connesse all’evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore “in nero” (nel testo precedentemente in vigore se ne prevedeva l’aumento del 50%), che quindi tornano ad essere applicate nella misura ordinaria dettata dall’art. 116, comma 8, della legge n. 388/2000.
Rimangono intatti i commi 4 e 5 dell’art. 3 del d.l. n. 12/2002, dedicati rispettivamente a:
- esonero dall’applicazione della maxisanzione contro il sommerso se, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzia la volontà di non occultare il rapporto, anche se si tratta di differente qualificazione;
- competenza ad irrogare la maxisanzione in capo a tutti gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro, fisco e previdenza, mentre autorità competente a ricevere il rapporto rimane la Direzione territoriale del lavoro.
Scompare anche qualsiasi riduzione sanzionatoria per le ipotesi di lavoro parzialmente irregolare, vale a dire per i casi nei quali il lavoratore precedentemente “in nero” ha successivamente svolto attività di lavoro subordinato regolare presso lo stesso datore di lavoro.
Ipotesi aggravata
Novità di rilievo è data dall’incremento sanzionatorio del 20% previsto in caso di impiego di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, o con permesso scaduto e non rinnovato (art. 22, comma 12, del d.lgs. n. 286/1998), ovvero anche di minori in età non lavorativa (art. 3, comma 3-quater).
In queste ipotesi, quindi, la nuova maxisanzione aggravata espone il datore di lavoro alle seguenti sanzioni amministrative:
– da euro 1.800 a euro 10.800 per ciascun lavoratore straniero o minore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di lavoro effettivo,
– da euro 3.600 a euro 21.600 per ciascun lavoratore straniero o minore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni di lavoro effettivo;
– da euro 7.200 a euro 43.200 per ciascun lavoratore straniero o minore irregolare per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di lavoro effettivo.
Applicazione della diffida
Di assoluta importanza è il ripristino della diffidabilità dell’illecito (già introdotto dalla legge n. 183/2010).
Il nuovo art. 3, comma 3-bis, infatti, prevede l’applicazione della procedura di diffida da parte del personale ispettivo, fatta eccezione per le ipotesi di lavoro “in nero” di lavoratori stranieri irregolari e di minori non in età da lavoro: la diffida consentirà al datore di lavoro che regolarizza tempestivamente, ottemperando alla diffida a regolarizzare, di essere ammesso al pagamento della sanzione ridottissima pari al minimo della sanzione edittale per ciascuna fascia di irregolarità (ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 124/2004).
Tuttavia, di particolare complessità risulta la procedura introdotta al comma 3-ter rispetto ai contenuti specifici della diffida a regolarizzare.
In effetti, fatta eccezione per l’ipotesi di lavoratori già “in nero” regolarmente occupati per un periodo lavorativo successivo, gli ispettori dovranno diffidare il datore di lavoro a stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale se con riduzione dell’orario non superiore al 50%, oppure un contratto a termine a tempo pieno purché di durata non inferiore a 3 mesi, con mantenimento in servizio dei lavoratori assunti per almeno 3 mesi. La prova della avvenuta regolarizzazione e del pagamento delle sanzioni, dei contributi e dei premi previsti va fornita entro il termine di 120 giorni dalla notifica del verbale di accertamento e notificazione (art. 13, comma 5, d.lgs. n. 124/2004).
Con Circolare n. 26 del 12 ottobre 2015 il Ministero del lavoro ha chiarito che la nuova diffida speciale opera soltanto per lavoratori irregolari trovati ancora in forza, specificando che il rapporto di lavoro non potrà essere regolarizzato con contratto di lavoro intermittente e che in caso di contratto a termine dovranno essere rispettati i limiti e i requisiti di cui al D.Lgs. n. 81/2015.
La Circolare n. 26/2015 precisa anche che il contratto di regolarizzazione sarà sottratto a qualsiasi agevolazione (compreso l’esonero contributivo di cui alla legge n. 190/2014) in considerazione della violazione del principio di cui all’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006.
Inoltre le indicazioni ministeriali chiariscono che la decorrenza del contratto di mantenimento al lavoro dovrà avere corso dal primo giorno di lavoro irregolare, mentre il periodo trimestrale di mantenimento in servizio andrà calcolato dal giorno dell’accesso ispettivo in azienda, senza comprendere nel calcolo il periodo lavorativo “in nero”.
Se il lavoratore è stato già regolarizzato quando viene notificato il verbale di accertamento (ad esempio, ai fini della revoca della sospensione dell’impresa), la diffida riguarderà il mantenimento in servizio per almeno tre mesi.
Riguardo, invece, ai lavoratori non più in forza la diffida riguarderà la mera regolarizzazione del “periodo in nero” (nel termine di 30 giorni di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 124/2004), analogamente per i lavoratori già regolarizzati per un periodo di lavoro successivo a quello irregolare.
Infine, trova conferma, nel nuovo comma 3-quinquies dell’art. 3 del d.l. n. 12/2002, quanto anticipato dalla prassi ministeriale circa la non applicazione, per implicito assorbimento, delle sanzioni relative alla violazione degli obblighi di comunicazione relativi all’instaurazione del rapporto di lavoro (art. 19, commi 2 e 3, d.lgs. n. 276/2003) in caso di irrogazione della “maxisanzione”, mentre di assoluta novità (e di non agevole comprensione su un piano di tutela sostanziale dei lavoratori) appare l’esonero dall’applicazione delle sanzioni relative alle violazioni riguardanti la regolare tenuta del libro unico del lavoro (art. 39, comma 7, d.l. n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008).
D’altra parte, la tutela sostanziale del lavoratore trovato irregolarmente occupato al lavoro indurrà il personale ispettivo a disporre la redazione dei prospetti mensili del libro unico del lavoro che attestano e documentano la prestazione lavorativa e la sua valorizzazione retributiva, contributiva e fiscale (eventualmente con provvedimento di disposizione ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 124/2004), oltre al recupero delle somme eventualmente dovute mediante la diffida accertativa (art. 12 del d.lgs. n. 124/2004).
Va, peraltro, utilmente segnalato che la norma consentirebbe di applicare le sanzioni in materia di mancata istituzione del libro unico del lavoro (art. 39, comma 6, d.l. n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008), ove questo non risulti correttamente istituito o tenuto (perché del tutto mancante o perché tenuto con un sistema non conforme alle previsioni del DM 9 luglio 2008) sebbene la Circolare n. 26/2015 sul punto sembrerebbe lasciare intendere un assorbimento anche di questo illecito.
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