Nella Sezione I del Capo II del D.Lgs. n. 81/2015 (intitolato al «Lavoro ad orario ridotto e flessibile»), agli artt. 4-12, sono contenute le nuove norme in materia di rapporti di lavoro in regime di tempo parziale (sostituendo le disposizioni già contenute nel D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, attuativo della Direttiva 97/81/CE relativa all’Accordo quadro europeo sul part-time). Nel nuovo contesto normativo vi sono i due istituti che consentono di “elasticizzare” la prestazione lavorativa del part-timer, vale a dire il lavoro supplementare e le clausole elastiche, che permettono di variare l’orario di lavoro in base alle esigenze organizzative datoriali, anche con riguardo alla collocazione della prestazione lavorativa, incentivando in tal modo le assunzioni di lavoratori a tempo parziale.
Clausole elastiche
La disciplina delle clausole elastiche, che assorbono e inglobano anche le previgenti clausole flessibili, seguita a richiedere (art. 6, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2015) la forma scritta (“per iscritto”), ma esse non devono formare oggetto di uno specifico patto anche contestuale al contratto di lavoro.
Anche la forma scritta delle clausole, dunque, come quella del contratto sembra essere dettata a soli fini di prova e non a pena di nullità.
Le clausole elastiche possono essere liberamente pattuire nel rispetto delle previsioni contenute nei contratti collettivi (anche aziendali) applicati in azienda, sia per variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa in regime di tempo parziale sia per aumentarne la durata, resta inteso, peraltro, che il lavoratore part-timer ha diritto a un preavviso di due giorni lavorativi, salvo che tra le parti si raggiungano intese differenti.
Inoltre, il lavoratore a tempo parziale che dà seguito a prestazioni lavorative nell’esercizio delle clausole elastiche ha diritto anche a specifiche compensazioni di natura economica, secondo la misura e nelle forme stabilite dai contratti collettivi.
Tuttavia, il comma 6 dell’art. 6 del D.Lgs. n. 81/2015 rende ammissibili le clausole elastiche, anche quando il contratto collettivo applicato in azienda non disciplina l’istituto delle clausole.
Se, dunque, il contratto collettivo applicato non le regolamenta, il datore di lavoro e il part-timer possono sottoscrivere clausole elastiche davanti ad una Commissione di certificazione dei contratti di lavoro (art. 76 D.Lgs. n. 276/2003, «con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro»), nel limite massimo del 25% di aumento rispetto alla prestazione lavorativa annua a tempo parziale, a fronte di una maggiorazione della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15%, compresa l’incidenza sugli istituti di retribuzione indiretta e differita.
Nel silenzio della norma, per quanto attiene al ruolo dei contratti collettivi, seppure l’art. 6 del D.Lgs. n. 81/2015 introduca un istituto sostanzialmente nuovo, che unifica le “vecchie” clausole elastiche e flessibili, deve concordarsi con quanti ritengono applicabili, fino ai prossimi rinnovi, le disposizioni contrattuali collettive che disciplinavano nella vigenza del D.Lgs. n. 61/2000 le clausole “elastiche” e “flessibili”.
Il diritto di “ripensamento” e, quindi, di revoca del consenso alle clausole elastiche viene previsto espressamente dall’art. 6, comma 7, del D.Lgs. n. 81/2015 per:
– lavoratori affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residua una capacità lavorativa ridotta (accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente), anche solo in parte derivanti dagli effetti invalidanti delle specifiche terapie salvavita;
– lavoratori con coniuge, figli o genitori affetti da patologie oncologiche, nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, ovvero che assistono persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104/1992, che abbia necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita;
– lavoratori con figlio convivente di età non superiore ai tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap, che assuma i connotati di gravità di cui all’art. 3 della legge n. 104/1992;
– lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale abilitate al rilascio di titoli di studio legali (art. 10, comma 1, legge n. 300/1970).
Lavoro supplementare
Secondo l’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, il lavoro supplementare consiste nella prestazione lavorativa resa oltre l’orario di lavoro concordato tra le parti, ma comunque entro il limite del tempo pieno.
Non spetta più ai contratti collettivi definire le causali che consentono al datore di lavoro di chiedere al lavoratore di svolgere lavoro supplementare, rimanendo riservata alla contrattazione collettiva comunque, pur senza espressa indicazione normativa, la possibilità di fissare il numero massimo delle ore di lavoro supplementare che ciascun lavoratore può essere chiamato ad effettuare, unitamente alla eventuale disciplina delle conseguenze del superamento del limite contrattuale.
L’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015 stabilisce che nel rispetto delle previsioni dei contratti collettivi, il datore di lavoro può legittimamente richiedere, entro i limiti dell’orario normale di lavoro di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 66/2003, con riferimento implicito a qualsiasi singolo segmento orario effettivamente lavorato dal lavoratore in regime di tempo parziale, lo svolgimento di prestazioni supplementari, svolte cioè oltre l’orario concordato con il lavoratore part-timer ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015 in rapporto alle giornate, alle settimane o ai mesi.
Quando il contratto collettivo applicato non presenta alcuna regolamentazione del lavoro supplementare, dunque, il datore di lavoro può richiedere lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare, nel limite del 25% delle ore di lavoro settimanali aggiuntive rispetto a quelle concordate e stabilite nel contratto a tempo parziale, retribuendolo con una percentuale di maggiorazione rispetto all’importo della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15%, compresa l’incidenza sugli istituti di retribuzione indiretta e differita (art. 6, comma 2, primo e terzo periodo, D.Lgs. n. 81/2015).
Nel silenzio della norma nel calcolo della percentuale delle ore (aggiuntive) supplementari, qualora il contratto a tempo parziale si sviluppi in modo non uniforme (con settimane a più intensità di lavoro e settimane a minore intensità), si ritiene che il calcolo possa essere effettuato tenendo conto complessivamente dell’orario di lavoro in part-time concordato fra le parti nonché della distribuzione oraria stabilita dal contratto collettivo nazionale, come condivisa nel contratto individuale. Tuttavia sul punto il Ministero del Lavoro, rispondendo al quesito 16 del “Forum Lavoro” del 24 settembre 2015 dopo aver chiarito che «il tetto massimo settimanale del 25% trova anzitutto applicazione in assenza di una disciplina contrattuale», ha affermato espressamente che «proprio in quanto “settimanale” sembra preferibile una opzione interpretativa che limita il lavoro supplementare entro il 25% di quello prestato settimanalmente».
In ogni caso, quando il datore di lavoro richiede la prestazione supplementare in assenza di regolamentazione nel contratto collettivo nazionale di lavoro, il lavoratore interessato può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare giustificando il proprio rifiuto con comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale (art. 6, comma 2, secondo periodo), che il D.Lgs. n. 81/2015 individua come esigenze qualificate di conciliazione vita-lavoro, sostanzialmente incompatibili con prestazioni supplementari.
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