Nel settore privato, per effetto dell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, di natura autonoma, quindi né subordinata, né “parasubordinata”, ricadono nello spettro dell’art. 409, n. 3, cod. proc. civ. (espressamente richiamato dall’art. 52, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015, ma introdotto dalla legge 11 agosto 1973, n. 533, anche sulla scorta di quanto contenuto nell’art. 2 della legge 14 luglio 1959, n. 741), qualora le prestazioni rese siano gestite autonomamente dal collaboratore, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione imprenditoriale del committente, senza alcuna rilevanza e del tutto indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione del lavoro, senza alcuna forma di etero-organizzazione che incida sul tempo e sul luogo di lavoro (art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015)[1].Le collaborazioni coordinate e continuative (c.d. co.co.co.) si accingono ad avere, nel nuovo quadro regolatorio dei contratti di lavoro, una importante presenza nella prassi degli operatori, sia in forza delle previsioni di “deroga” che il D.Lgs. n. 81/2015 ha espressamente riconosciuto nell’art. 2, comma 2, rispetto anche alle ipotesi di etero-organizzazione, oltreché per la più generale utilizzabilità della fattispecie, dopo l’abrogazione delle norme sul lavoro a progetto che imponevano la riconducibilità generale della quasi totalità delle collaborazioni coordinate e continuative nell’alveo di un progetto specifico, finalizzato a un risultato proprio.
Pertanto, permane legittimo il ricorso alla collaborazione coordinata e continuativa, che resta legata ai criteri fissati dal menzionato art. 409, n. 3, cod. proc. civ., e più dettagliatamente alla pur scarna disciplina dettata dall’art. 34 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (c.d. “Collegato fiscale” alla “Finanziaria 2001”), secondo cui il limite posto alle collaborazioni di cui trattasi è che le stesse non attengano a mansioni tipicamente inerenti al lavoro subordinato: «rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli Uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente».
Il combinato disposto degli artt. 2 e 52 del D.Lgs. n. 81/2015 consegna all’Ordinamento giuridico una disciplina per certi versi nuovi e per molti altri antica relativamente alle forme di lavoro non subordinato, con specifico riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative.
Le abrogazioni operate dall’art. 52, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015 toccano l’intera disciplina del lavoro a progetto, contenuta negli artt. 61-69 del D.Lgs. n. 276/2003, sottoposta in un decennio a molteplici interventi emendativi. Un primo effetto immediato, a far data dal 25 giugno 2015, delle abrogazioni operate dall’art. 52, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, dunque, è quello di non consentire la stipulazione di ulteriori contratti di lavoro a progetto, ma anche di impedire la prosecuzione, mediante proroga, dei contratti a progetto che giungono a scadenza, essendo mantenuta vigente, transitoriamente, la disciplina dettata dagli artt. 61-69 del D.Lgs. n. 276/2003, esclusivamente per i rapporti in corso.
L’intenzione esplicita del legislatore delegato è quella di estendere l’area della subordinazione, applicando, appunto, dal 1° gennaio 2016, le norme sul lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che abbiano contestualmente alcune caratteristiche identificative delle prestazioni di lavoro dedotte nel contratto.
D’altra parte, il “Codice dei contratti”, con l’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015 (rubricato «Collaborazioni organizzate dal committente»), introduce una norma dal sapore spiccatamente sanzionatorio, che tende a provocare l’espansione dell’area della subordinazione per una tipologia di collaborazioni coordinate e continuative individuate dal legislatore dell’ultima riforma attraverso caratteristiche di eterorganizzazione, piuttosto genericamente declinate dalla norma, che, pertanto, non sottrarranno il nuovo quadro regolatorio da inevitabili tensioni di tipo interpretativo, le quali attenderanno il pronunciamento della giurisprudenza.
La disposizione dà attuazione ad uno degli ambiti di principale intervento delle deleghe contenute nella legge n. 183/2014, laddove si prevedeva il “superamento” delle collaborazioni coordinate e continuative, con una centralizzazione del lavoro subordinato a tempo indeterminato, nella prospettiva di una crescita (da ritenersi accelerata in conseguenza dell’esonero contributivo introdotto dall’art. 1, comma 118, della legge n. 190/2014) del numero dei rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato assoggettati al regime sanzionatorio delle tutele crescenti di cui al D.Lgs. n. 23/2015.
Quello dell’espansione dell’area della subordinazione, invero, rappresenta uno dei temi salienti e maggiormente attesi rispetto alle previsioni contenute nella legge n. 183/2014, la quale col tema del “superamento” delle collaborazioni coordinate e continuative, lasciava intravedere accanto alla centralizzazione del lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche la prospettiva di una disciplina “leggera” e semplificata sul lavoro non subordinato e autonomo.
Sotto questo profilo, tuttavia, la normativa non fa scomparire, né supera, le collaborazioni coordinate e continuative, ma al contrario le ripropone nella medesima modalità e con le analoghe difficoltà operative – rispetto al rischio del contenzioso lavoristico e sanzionatorio amministrativo – con le quali si erano diffuse all’inizio degli anni 2000 (prima dell’intervento di tutela operato dagli artt. 61 ss. del D.Lgs. n. 276/2003 ora abrogati).
In questo senso, infatti, depone l’espressa previsione del comma 2 dell’art. 52 del D.Lgs. n. 81/2015, il quale testualmente afferma: «Resta salvo quanto disposto dall’art. 409 del codice di procedura civile», rilanciando il ruolo normativo dell’art. 409, n. 3, cod. proc. civ., che ricomprende nel novero delle controversie individuali di lavoro, quelle che scaturiscono da «rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato».
Ne consegue, pertanto, da un lato che il committente può ora scegliere di ricondurre una prestazione lavorativa resa a proprio favore da un collaboratore nelle forme della collaborazione coordinata e continuativa (art. 409, n. 3, cod. proc. civ.) ovvero in quelle della prestazione d’opera (art. 2222 cod. civ.), a seconda delle caratteristiche obiettive dell’attività svolta dal collaboratore, dall’altro, contestualmente, che il collaboratore coordinato e continuativo transita dal regime di tutele e di maggior protezione degli interessi e dei diritti delineato dal D.Lgs. n. 276/2003 (con l’introduzione delle norme sul lavoro a progetto) al regime preesistente senza alcuna tutela specifica.
La collaborazione coordinata e continuativa torna ad essere attuabile pure a tempo indeterminato (e non più soltanto a termine) e può essere instaurata anche per soddisfare un interesse del committente che si ripete nel tempo anche identicamente, sul piano dei contenuti della prestazione richiesta al collaboratore.
Inoltre, la forma del contratto di collaborazione torna ad essere libera:
– senza obbligo di individuare alcunché in un atto a forma scritta;
– senza necessità di indicare alcun tipo di risultato, parziale o finale;
– senza alcun obbligo di individuare un compenso minimo per il collaboratore da valorizzarsi in base a parametri oggettivi di riferimento;
– senza preclusioni circa l’individuazione delle modalità di estinzione o di risoluzione del contratto.
D’altronde, il legislatore italiano sembra orientato a completare la riforma delle tipologie contrattuali, operata con il D.Lgs. n. 81/2015, mediante un “Collegato Lavoro” alla Legge di stabilità 2016, dedicato alla introduzione di «misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato a tempo indeterminato», che darebbe piena conferma a quanto delineato in questa analisi circa il pieno rilancio delle collaborazioni coordinate e continuative, le quali, infatti, riceverebbero la dignità di una definizione normativa ad opera dell’art. 13 del “Collegato Lavoro 2016”, che modificando l’art. 409, n. 3, cod. proc. civ. sancirebbe espressamente: «la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente la propria attività lavorativa».
Inoltre a confermare il rilancio delle collaborazioni è intervenuto il Ministero del Lavoro con la nota n. 5843 del 20 novembre 2015, sui nuovi standard relativi alle Comunicazioni Obbligatorie, che prevedono, fra l’altro, per tutti i flussi informativi, l’aggiornamento della tabella “tipo contratti” con la cancellazione del codice “B.01.00 – Lavoro a progetto / Collaborazione coordinata e continuativa” e l’attivazione della nuova tipologia contrattuale “B.03.00 – Collaborazione coordinata e continuativa” (posticipata al 20 gennaio 2016 con nota n. 6022 del 30 novembre 2015).
Unico limite al libero esercizio (da parte di collaboratore e committente) della autonomia contrattuale – nel combinato disposto fra gli artt. 1322 e 2222 cod. civ. e 409, n. 3, cod. proc. civ. – sta nella previsione legislativa, sempre contenuta nell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, di estendere l’area della subordinazione, applicando, dal 1° gennaio 2016, le norme sul lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che presentino contestualmente tre caratteristiche identificative delle prestazioni di lavoro dedotte nel contratto:
– sono esclusivamente personali;
– si caratterizzano per essere continuative;
– le modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Si reputa necessario, ai fini dell’applicazione delle norme sul lavoro subordinato, che sussistano congiuntamente tutti e tre gli elementi caratterizzanti ora evidenziati, non essendo, quindi, sufficiente alla automatica estensione della subordinazione una collaborazione continuativa ed etero-organizzata che non sia anche esclusivamente personale (perché ad esempio, il collaboratore si avvale della possibilità di farsi sostituire). Non sembra potersi ritenere etero-organizzata la collaborazione nell’ambito della quale le parti concordino preliminarmente, reciprocamente, nella fase di redazione del contratto, le località e le fasce temporali (anche orarie) di svolgimento delle attività dedotte in collaborazione.
La definizione non identifica, evidentemente, un tipo contrattuale a sé stante, ma caratterizza i profili di non legittimità, nel nuovo quadro regolatorio, della collaborazione coordinata e continuativa come contratto non subordinato.
D’altronde, poiché la caratteristica della personalità della prestazione (esclusiva o prevalente) identifica anche la prestazione autonoma occasionale di cui all’art. 2222 cod. civ., mentre per la continuatività della prestazione lavorativa la stessa non determina una proprietà tipica della eterodirezione, sarà il parametro della etero-organizzazione ad incidere profondamente sulla qualificazione di una collaborazione coordinata e continuativa alla stregua di un rapporto di lavoro subordinato, in attuazione della presunzione introdotta dall’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015.
Affermato il carattere sanzionatorio dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015 vale la pena rilevare, sia pure di passata, come la norma abbia dato luogo nei primi commenti dottrinali a molteplici interpretazioni alternative, specialmente con riguardo agli effetti sostanziali della disposizione. Così non è mancato chi ha interpretato l’estensione della disciplina del lavoro subordinato come la creazione di un nuovo tipo contrattuale e chi invece ne ha viste le conseguenze applicative nel contesto della previsione di una nuova fattispecie negoziale (ora nell’area del lavoro autonomo ora, invece, in quella del lavoro parasubordinato). Rilevante anche la posizione di cui ha optato per la sussistenza di una vera e propria presunzione assoluta che non ammetterebbe il committente a prova contraria e vincolerebbe il giudice alla rigidità del portato normativo (peraltro riferito ad elementi fattuali contrassegnati da una indubbia variabilità ed elasticità). In realtà il D.Lgs. n. 81/2015 sembra aver operato una scelta più leggera, introducendo sostanzialmente una norma sanzionatoria di natura civilistica che riconosce il carattere normativo (con riferimento alla disciplina applicabile) di lavoro subordinato alle collaborazioni con quelle caratteristiche di etero-organizzazione (ricorrendo tutti e tre gli elementi della continuità, personalità e, appunto, organizzazione da parte del committente anche sui tempi e sui luoghi di lavoro). Quindi una sanzione tout court assimilabile su un piano giuridico puro alla presunzione relativa o semplice (juris tantum) rispetto alla quale come in tutte le ipotesi sanzionatorie (e nel rispetto dei dogmi costituzionali) spetta al giudice valutare la piena sussistenza dei caratteri della subordinazione, ammettendo il committente alla prova di una differente sostanza fattuale e giuridica del rapporto di lavoro instaurato rispetto a quanto presunto dalla norma.
In questo senso rileva specificamente quanto affermato dalla Suprema Corte già in Cass. civ., Sez. lav., 6 settembre 2007, n. 18692 secondo cui: «La prestazione di attività lavorativa onerosa all’interno dei locali dell’azienda, con materiali ed attrezzatura proprie della stessa e con modalità tipologiche proprie di un lavoratore subordinato, in relazione alle caratteristiche delle mansioni svolte, comporta una presunzione di subordinazione, che è onere del datore di lavoro vincere».
In argomento, con specifico riferimento al significato proprio dell’espressione «si applica la disciplina del rapporto subordinato» e, più segnatamente, alla conseguenza sanzionatoria derivante dalla norma (se cioè dia luogo a una vera e propria trasformazione del rapporto di lavoro e al disconoscimento del contratto di collaborazione con differente qualificazione giuridica dello stesso), i tecnici del Ministero del Lavoro, rispondendo al quesito 16 del “Forum Lavoro” del 24 settembre 2015 hanno chiarito che: «non vi è una vera e propria riqualificazione del rapporto ma, in presenza dei requisiti di legge (“collaborazioni che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”) la semplice applicazione degli istituti che caratterizzano il rapporto di lavoro subordinato».
[1] In argomento si vedano, fra gli altri: M. Tiraboschi, Teoria e pratica dei contratti di lavoro, Adapt University Press, Bergamo, 2015, pagg. 63-68; O. Razzolini, “La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente. Prime considerazioni”, WP CSDLE “Massimo D’Antona”. IT – 266/2015; A. Perulli, “Costanti e varianti in tema di subordinazione e autonomia”, in LD, n. 2/2015, pag. 271 ss.; G. Santoro-Passarelli, “I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409, n. 3, c.p.c.”, in F. Carinci (a cura di), Commento al D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi cit.; L. Failla, E. Cassaneti, “La riforma delle collaborazioni e dell’associazione in partecipazione”, in Guida Lav., 2015, 27, pag. 9. Sia consentito rinviare anche a P. Rausei, “Tutto Jobs Act. La nuova dottrina del lavoro”, Ipsoa, Milano, 2016, pp. 161-166; P. Rausei, “Contratti. Subordinati, autonomi, flessibili, formativi ed esternalizzati”, Ipsoa, Milano, 2015, pp. 53-86.
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