Proprio sulla accessibilità delle dichiarazioni raccolte in seguito alla ispezione di lavoro e previdenza si sono formate, nella prassi amministrativa e in giurisprudenza, per lungo tempo, impostazioni fortemente differenziate dalle quali promanano orientamenti dissonanti e confliggenti, talora in contrasto con lo stesso apparato normativo di carattere generale, ma, come si vedrà appresso, fondato su atti normativi di carattere regolamentare di cui Ispettorato Nazionale del lavoro (che per effetto del D.Lgs. n. 149/2015, dal 1° gennaio 2017, ha assorbito competenze e funzioni delle Direzioni Territoriali del Lavoro), Inps e Inail si sono dotati, per escludere dall’accesso agli atti, in tutto o in parte, le dichiarazioni dei lavoratori.
Per quanto riguarda l’Ispettorato lo stesso ha ereditato i provvedimenti regolatori già validi per gli Uffici territoriali del Ministero (in questo senso espressamente l’art. 26 del D.P.C.M. 23 febbraio 2016). Con Circolare n. 43 dell’8 novembre 2013 il Ministero del Lavoro illustrando la sentenza Consiglio di Stato, VI, 31 luglio 2013, n. 4035 interviene in maniera decisa sul tema per sancire la odierna validità dei limiti sanciti dal Regolamento adottato dal Ministero del Lavoro con D.M. 4 novembre 1994, n. 757; inoltre, nel riconoscere che la sentenza annotata «si inserisce in un quadro giurisprudenziale connotato da orientamenti contrastanti ed oscillanti nel tempo», si evidenzia come i giudici amministrativi abbiano affermato «la prevalenza del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione», mentre in altre occasioni siano state riconosciute le «esigenze di tutela della riservatezza dei lavoratori unitamente a quella di preservazione della pubblica funzione di vigilanza».
Nell’affrontare il nocciolo della questione, va primariamente fatto riferimento a quanto stabilito nel nuovo «Codice di comportamento ad uso degli ispettori del lavoro», che all’art. 12, comma 9, D.M. 15 gennaio 2014 (dedicato alla «Acquisizione delle dichiarazioni» dei lavoratori in sede ispettiva) non ammette in nessun caso il rilascio al lavoratore o al soggetto ispezionato di copia della dichiarazione acquisita, specificando che in caso di richiesta, il personale ispettivo deve informare l’interessato che l’eventuale accesso alle dichiarazioni può formare oggetto di apposita istanza di accesso agli atti amministrativi da rivolgere all’Ispettorato Territoriale del Lavoro di appartenenza, ai sensi e per gli effetti della legge n. 241/1990. Al contrario, l’art. 12, comma 11, D.D. 20 aprile 2006 sanciva l’accessibilità alle dichiarazioni dopo che si fosse concluso il procedimento ispettivo e, quindi, che avesse avuto esito l’accertamento.
Il nuovo Codice di comportamento, dunque, in continuità con quanto sancito dalla Circolare n. 43/2013, chiude rispetto a una disciplina dell’accesso agli atti dell’attività ispettiva che si predispone ad una discovery limitata e condizionata esclusivamente da aspetti di tutela relativi ai diritti personalissimi del dichiarante, nonché alla incidenza di quanto risulti penalmente rilevante. L’ITL che si trovi a ricevere, al termine dell’accertamento, idonea e motivata richiesta di accesso agli atti, riguardante specificamente le dichiarazioni rese dai lavoratori, dovrà procedere secondo le disposizioni regolamentari di cui al D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, con speciale riferimento ai diritti di informazione e di opposizione del lavoratore dichiarante, quale controinteressato (art. 3, D.P.R. n. 184/2006), ma seguendo le indicazioni contenute nella Circolare n. 43/2013.
D’altro canto, non si può omettere di segnalare che il Regolamento adottato dal Ministero del Lavoro a mezzo del D.M. 4 novembre 1994, n. 757, all’art. 2 elenca analiticamente quali siano i documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero sottratti al diritto di accesso, ai sensi dell’art. 24, comma 4, legge n. 241/1990, prevedendo l’esclusione dall’accesso per i «documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi» (lett. c) nonché per i «documenti riguardanti il lavoratore e contenenti notizie sulla sua situazione familiare, sanitaria, professionale, finanziaria, sindacale o di altra natura, sempreché dalla loro conoscenza possa derivare effettivo pregiudizio al diritto alla riservatezza» (lett. g).
Analogamente l’Inps nel Regolamento approvato con determinazione del Commissario straordinario n. 1951 del 16 febbraio 1994, fra gli atti e i documenti sottratti all’accesso a tutela della riservatezza, ha proceduto ad inserire anche le «dichiarazioni rilasciate da lavoratori che costituiscano base per la redazione del verbale ispettivo, al fine di prevenire pressioni, discriminazioni o ritorsioni ai danni dei lavoratori stessi» (punto 12); mentre più blanda appare tale restrizione nel Regolamento adottato con determinazione del Presidente n. 366 del 5 agosto 2011 (Circolare n. 4 dell’8 gennaio 2013). Al contrario l’Inail, nel Regolamento approvato con Determina del Presidente n. 149 del 22 marzo 2018 («Regolamento unico per la disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e del diritto di accesso a documenti, dati e informazioni ai sensi degli articoli 5 e seguenti del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33»), ha escluso dall’accesso agli atti, inserendoli nell’elencazione contenuta nell’art. 15, «le denunce, gli esposti, i verbali di accertamento relativi a violazioni, irregolarità, infrazioni soggette a comunicazione di notizie di reato all’autorità giudiziaria, in quanto coperti da segreto istruttorio» (comma 3, lett. a), n. 1), «documenti attinenti ad inchieste ispettive sommarie o formali» (comma 3, lett. b), n. 8) e «accertamenti ispettivi» (comma 3, lett. b), n. 14).
Tuttavia, tali limitazioni devono fare i conti con quanto stabilito dall’art. 24, ultimo comma, legge n. 241/1990 il quale recita, testualmente: «Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale». D’altro canto, proprio le disposizioni contenute nel nuovo testo dell’art. 24, legge n. 241/1990, come sostituito dall’art. 16, legge n. 15/2005, alla medesima stregua dei nuovi elementi di definizione del diritto di accesso contenuti nell’odierno art. 22, legge n. 241/1990, per effetto dell’art. 15, legge n. 15/2005, non risultano ancora definitivamente entrate in vigore, anzi meglio, in ragione di quanto previsto dall’art. 23, comma 3, legge n. 15/2005, tali disposizioni e i menzionati elementi «hanno effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento» di cui al comma 2 dello stesso art. 23, legge n. 15/2005, «inteso a integrare o modificare il regolamento di cui al D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, al fine di adeguarne le disposizioni alle modifiche introdotte», regolamento approvato, appunto, con quel D.P.R. n. 184/2006 già richiamato, che, tuttavia, ha fatto salvo dall’abrogazione delle restanti norme l’art. 8, D.P.R. n. 352/1997, in merito ai casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi. Pertanto dall’aprile 2006 sono in vigore e hanno effetto le nuove norme sul diritto di accesso agli atti ad esclusione della parte relativa all’art. 24, comma 6, legge n. 241/1990, la quale, pur vigente, necessita del conseguente atto regolamentare da cui deriverà anche la definitiva abrogazione dell’art. 8, D.P.R. n. 352/1992, attualmente transitoriamente in vigore.
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