La attuale disciplina del lavoro intermittente si rinviene negli artt. 13-18 del D.Lgs. n. 81/2015. In particolare l’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2015, nei primi due commi, indica con chiarezza e tassatività le ipotesi in cui è possibile fare ricorso al lavoro intermittente:
1) requisiti oggettivi: per lo svolgimento di prestazioni di carattere oggettivamente discontinuo o intermittente, individuate, secondo le specifiche esigenze rilevate, dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale (art. 13, comma 1, prima parte);
2) requisiti temporali: per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno, individuati secondo le specifiche esigenze rilevate dai contratti collettivi (art. 13, comma 1, seconda parte);
3) requisiti soggettivi: con soggetti con meno di 24 anni di età ovvero con lavoratori con più di 55 anni, anche pensionati (art. 13, comma 2).
Con riguardo alla prima fattispecie, se i contratti collettivi non regolamentano le condizioni oggettive che consentono il ricorso al lavoro intermittente, ai sensi dell’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2015, «i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali», e l’art. 55, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2015 ha precisato che fino all’emanazione di tale decreto ministeriale «trovano applicazione le regolamentazioni vigenti», quindi, nella prassi operativa, si può tuttora fare riferimento al D.M. 23 ottobre 2004, che rinvia alle “tipologie di attività” che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia contenute nella tabella allegata al R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657. Mentre con riguardo alla terza fattispecie si precisa che i soggetti con meno di 24 anni di età possono svolgere prestazioni lavorative a chiamata esclusivamente entro il compimento del venticinquesimo anno di età.
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